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220 lettera dell'abate cesarotti


m’ama piú. Come è fino il senso d’invidia ch’ei mostra, perché un altro poté insegnargli il modo di disfarsi d’un nemico! e l’atto d’impazienza atroce: Sempr’arte? non ferro mai? e il Men duole in risposta a Tigellino, che gli avea detto: Ch’ei non poteva svenar tutti. La replica dell’Atterrito io? a Poppea che mostra d’accorgersi del suo timore, quanto è mai cupa e terribile!

Seneca deve esser grato al nostro poeta: egli sostiene il suo decoro filosofico, e compensa le sue passate condiscendenze coll’accusarsene, ed emendarle con libertá e con fermezza. Bellissima è tosto la scena prima, in cui Nerone ricorre a lui, perché si disponga a giustificare ciò ch’ei medita sopra Ottavia. L’istanza del tiranno è umiliante, e sparsa di minacce occulte, e di scherni amari. Insigne è il tratto di Seneca, e la risposta di Nerone: Sol lascia a me di me la stima. Ove tu l’abbi, io la ti lascio. Finissimo è pure il lagno di Seneca, che tocchi a lui la miglior parte del regno: L’odio di tutti.

Tigellino è qual deve essere, maestro consumato d’iniquítá. Bello e profondo è il suo detto: L’innocenza è troppa d’Ottavia, ond’ella scampi. Accortissima è la sua condotta nella scena III dell’atto II, ove consiglia Nerone ad apporre una calunnia ad Ottavia: ed insigne è pure la sua descrizione del tumulto della plebe, (atto III, scena III) viva, e artifiziosamente affannosa per irritar Nerone, e dispor meglio del di lui animo.

Poppea conserva anch’essa il suo carattere di donna ambiziosa, artifiziosa, e malvagia. Bello fra gli altri è il tratto, con cui ripiega naturalmente alla sua imprudenza, d’aver indicato d’accorgersi che Nerone è atterrito: Sí, per me il sei.

Ottavia è un modello di virtú, e di rassegnazione; e sostenuto egregiamente da capo a fondo. Solo può trovarsi a ridire, ch’ella conservi amore per Nerone. Che soffra tutto, che non si risenta, che non voglia prestarsi alla sollevazione suscitata per lei, per non irritar maggiormente il tiranno, per la speranza di disarmarlo colla sua dolcezza, per non dargli il menomo pretesto di accusarla, per senso del proprio decoro, per disprezzo tranquillo della morte; tutto ciò è grande ed eroico: ma come può, senza farsi torto, conservar propriamente amore per un tal mostro? Questa dose d’affetto non pregiudica ella piuttosto all’interesse, che dovrebbe destar nei lettori? Potrebbe a stento essere un merito in una moglie cristiana, in cui l’amor conjugale è un dovere, e la sofferenza una perfezion religiosa. Ma Ottavia non è né cristiana, né moglie (1).