Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/277

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atto terzo 271
Bot.   Altri pur odi.

Arrigo Che parli? Altri?... Che ardire?...
Bot.   In queste soglie
tradito sei; ma non da chi tu il pensi.
Piú che a noi tutti, a te dovria sospetto
un uom parer, cui d’oratore il nome
a perfidia impunita è invito e sprone.
Messo di pace a noi non viene Ormondo;
e a lungo pur tu l’odi; e a lui...
Arrigo   Felloni!
Questo giá mi si ascrive anco a delitto?
Vili voi, vili, al par che iniqui; a male,
voi tutto a male ite torcendo. Ormondo
chiesta udíenza ottenne: io nol cercai;
messo ei non viene a me...
Bot.   Perfido ei viene
contro di te bensí: né fosse egli altro
che traditor! ma non discreto, e meno
destro, ei giá si mostrò: troppo affrettossi
a disvelar le ascose sue speranze,
e i rei disegni: onde ei tradia se stesso
anzi tempo di tanto, che giá il tutto
sa la regina, pria che teco ei parli.
Né sdegno in lei, quanto pietá, ne nasce
dell’ingannato. In nome suo, ten prego,
esci d’errore, o re; né con tuo biasmo
arrecar vogli ai traditor vantaggio,
danno a chi t’ama.
Arrigo   — O chiaro parla, o taci:
misteríosi accenti io non intendo:
soltanto io so, che dove al par voi tutti
traditor siete, io mal fra voi ravviso
qual mi tradisca.
Bot.   Egli è il vederlo lieve;
cui piú il tradirti giova. Elisabetta,
invida ognora aspra nemica vostra,