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atto quarto 277
per me oltraggiosi, indi egualmente indegni

di chi gli ascolta, e di chi gli usa.
Arrigo   In detti
t’offendo io sempre; e me tu in fatti offendi.
Fuor di memoria giá?...
Maria   Profondamente
memoria in cor dei tanti avvisi io serbo,
ch’io non curai; saggi, veraci avvisi;
che i tuoi modi, il tuo cor, te, qual ti sei,
pingeanmi appien, pria che la man ti dessi.
Creder non volli, e non veder, pur troppo
cieca d’amor... Chi s’infingeva allora?...
Rispondi, ingrato... Ahi lassa me! — Ma tardo
è il pentirmene, e vano... Oh cielo!... E fia,
fia dunque ver, che ad ogni costo or vogli
nemica avermi?... Ah! nol potrai. Ben vedi;
di sdegno appena passeggera fiamma
tu accendi in me: solo un tuo detto basta
a cancellare ogni passata offesa:
pur che tu l’oda, è l’amor mio giá presto
a riparlarmi. Or, deh! perché non vuoi,
qual ch’ella sia, narrarmi or la cagione
del novello tuo sdegno? Io tosto...
Arrigo   Udirla
vuoi dal mio labbro dunque; ancor che nota,
non men che a me, ti sia? ten farò paga.
Non del finto amor tuo, non delle finte
tue parolette; e non dell’assegnata
diversa stanza; e non del tolto figlio;
e non di regia autoritá promessa,
giá omai tornata in piú insolenti oltraggi;
di tanto io no, non mi querelo: i modi
usati tuoi, son questi; è mia la colpa,
s’io a te credea. Ma il sol, ch’io non comporto,
è l’oltraggio che a me novello or fai.
E che? di tante tue stolte vendette,