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atto quinto 289
Ma tu, che in trono usurpator ti assidi,

figlio d’iniquitá, tu regni, e vivi?
Maria Fero un Nume lo invade!... Oh ciel!... Deh! m’odi...
Lamor. Ma no, non vivi: ecco la orribil falce,
che l’empia messe abbatte. Morte, morte...
sue strida io sento, e giá venir la miro.
Oh vendetta di Dio, deh, come sconti
ogni delitto!... Il ciel trionfa: è tolta,
ecco, è strappata la perfida donna
dalle braccia d’adultero marito...
ecco traditi i traditori,... Oh gioja!
Disgiunti sono,... e strazíati,... e morti.
Maria Tremar mi fai... Deh!... di chi parli?... Io manco.
Lamor. Ma qual vista novella?... Oh tetra scena!
Negri addobbi sanguigni intorno intorno
a fero palco?... E chi sovr’esso ascende?
Oh! sei tu dessa? O giá superba tanto,
or pure inchini la cervice altera
alla tagliente scure? Altra scettrata
donna il gran colpo vibra. Ecco l’infido
sangue in alto zampilla; e un’ombra accorre
sitibonda, che tutto lo tracanna. —
Deh, pago in ciò fosse il celeste sdegno!
Ma lunga striscia la trista cometa
dietro a se trae. Del fianco alla morente
donna, ecco uscir molti superbi e inetti
miseri re. Giá in un col sangue in loro
del re dei re la giusta orribil ira
scorre trasfusa...
Maria   ... Ahi lassa me!... Ministro
del ciel, qual luce or ti rischiara? Ah! taci...
deh! taci... Io moro...
Lamor.   Oh! chi mi appella?... Invano
tor mi si vuol questa tremenda vista...
Giá giá tornar nell’aere cieco in folla
veggio gli spettri. — Oh! chi se’ tu, che quasi


 V. Alfieri, Tragedie - II. 19