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288 maria stuarda
schierati in cerchio, ogni uom lontano a forza

feri tenendo?
Maria   Oh! del mio oprar ragione
a te degg’io? Son dritti i miei disegni:
e li saprá chi pur saper li debbe.
Ti affidi tu nella insolente plebe?
Lamor. In me mi affido, ed in quel Dio verace,
onde ministro io sono. A me la vita
toglier tu puoi, non la franchezza e l’alto
libero dire... Al tuo marito accanto,
se il vuoi, mi uccidi; ma mi ascolta pria.
Maria Che parli? Oh cielo!... e bramo io forse il sangue
del mio consorte? e chi ’l può dire?...
Lamor.   Oh vista! —
Il cervo imbelle infra i feroci artigli
sta di arrabbiata tigre... Oimè! giá il fianco
ella gli squarcia... Ei palpitante cade,
espira;... e fu... Deh! chi non piange? — Oh lampo!
qual raggio eterno agli occhi miei traluce?
Mortal son io? — Le dense orride nubi,
ch’entro nera caligine profonda
tengon sepolto l’avvenire, in fumo,
ecco, si sciolgon rapide... Che veggo?
Io veggio, ahi! sí, quel traditor, che tutto
gronda di sangue ancora. Empio! fumante
di sangue sacro e tremendo, tu giaci
entro il vedovo ancor tiepido letto?
Ahi donna iniqua! e il soffri tu?...
Maria   Qual voce?
Quali accenti son questi? Oh ciel! che parli?...
Presagj orrendi... Ei non mi ascolta; in volto
gli arde una fiamma inusitata...
Lamor.   Oh nuova
figlia d’Acáb! giá l’urla orride sento,
giá di rabidi cani ecco ampie canne,
cui tuoi visceri impuri esser den pasto. —