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292 maria stuarda
ha le mie squadre Arrigo; udito ha il nome

ei di Botuello; e per gli spaldi in arme
corre, e provvede a disperata pugna.
Andar, venire, infuríar, mostrarsi
lá di fiaccole ardenti al lampo il vidi;
e scende al pian di sue minacce il suono.
Lieve è l’armi ritrar; ma Arrigo poscia
chi raffrenar potrá? Di me non parlo:
vittima poca (ov’io pur basti) a sdegno
sí giusto, io sono: ma di te, che fora?
Arrigo offeso...
Maria   Ah! dimmi: or or Lamorre
non ne andava ad Arrigo?...
Bot.   Io nol vedea. —
Di quel ministro di menzogna hai forse
udito i detti ancora?
Maria   Ah sí, pur troppo!...
Benché ministro di nemica setta,
che non svelommi? oh ciel! presagj orrendi
ascoltai di sua bocca! All’ostinato
mio consorte in messaggio il mando io stessa:
deh! possa in lui quel suo parlar, non meno
che in me potea! Chi sa? spesso ha tai mezzi
l’invisibil celeste arbitro eletti:
forse è Lamor stromento suo. Va, corri;
fa ch’ei parli col re.
Bot.   Lamor, nemico
di nostro culto, a suo talento ei spera
il debil senno governar di Arrigo;
quindi a lui finge essere amico. Iniquo!
Capo ei farsi di parte, altro non brama.
Giá in arme sta dei piú rubelli il nerbo;
manca il vessillo; e l’alzerá Lamorre.
Quai sien costoro, il sai; tu, che in lor mani
caduta un dí, dure dettar ti udisti
ingiuríose leggi: ed io il rimembro,