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atto quinto 293
io, che ten trassi. — Or, finché l’aure io spiro,

giuro, a tal non verrai: fia lealtade
ora il non obbedirti. Il passo a ogni uomo
è strettamente chiuso: a chi il tentasse,
ne va la vita. Invano, anco il piú fido
de’ tuoi, vi si appresenta; invan ci andava
in tuo nome Lamorre...
Maria   E che? tant’osi?...
Bot. Oso, e voglio, salvarti: or, quel ch’io faccia,
appieno io ’l so. Se apertamente reo
tu non convinci Arrigo, or che a lui festi
aperto oltraggio, a mal partito sei.
Maria E sia che può: pria vo’ morir, che macchia
porre alla fama mia... Dunque, obbedisci;
zelo soverchio in te mi nuoce: or tosto,
va; sgombra il passo... Ma che veggio? Oh cielo!...
Qual lampo orrendo!... Ah!... quale scoppio! Trema,
s’apre la terra...
Bot.   Oh!... di squarciata nube...
scende dal ciel... divoratrice... fiamma?...
Maria ... Si spalancan le porte!...
Bot.   Oh! qual rimugge
l’aura infuocata!...
Maria   ...Ahi! dove fuggo?...


SCENA QUARTA

Lamorre, Maria, Botuello.

Lamor.   E dove,

dove fuggir potrai?
Maria   Lamor!... che fia?...
Tu... giá ritorni?...
Lamor.   E tu quí stai? Va, corri;
vedi ucciso il marito...
Maria   Oimè!... che sento?...