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ATTO PRIMO
SCENA PRIMA
Guglielmo, Raimondo.
darmi, o padre, non sai? Ti sei tu fatto
schiavo or cosí, che del mediceo giogo
non senti il peso, e i gravi oltraggi, e il danno?
Gugl. Tutto appien sento, o figlio; e assai piú sento
il comun danno, che i privati oltraggi.
Ma pur, che far degg’io? ridotti a tale
ha il parteggiare i cittadin di Flora,
ch’ogni moto il piú lieve, a noi funesto,
fia propizio ai tiranni. Infermo stato,
cangiar nol puoi (pur troppo è ver!) che in peggio.
Raim. Dimmi, deh! dove ora è lo stato? o se havvi,
come peggior si fa? Viviam noi forse?
Vivon costor, che di paura pieni,
e di sospetto, e di viltá, lor giorni
stentati e infami traggono? Qual danno
nascere omai ne può? che in vece forse
del vergognoso inefficace pianto,
ora il sangue si spanda? E che? tu chiami
un tal danno il peggior? tu, che gli antichi
tempi, ben mille volte, a me fanciullo
con nobil gioja rimembravi, e i nostri