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300 la congiura de’ pazzi
deplorando, piangevi; al giogo, al pari

d’ogni uom del volgo, or la cervice inchini?
Gugl. Tempo giá fu, nol niego, ov’io pien d’ira,
d’insofferenza, e d’alti spirti, avrei
posto in non cal ricchezze, onori, e vita,
per abbassar nuovi tiranni insorti
su la comun rovina: al giovenile
bollor tutto par lieve; e tale io m’era.
Ma, il trovar pochi, o mal fedeli amici
ai gran disegni; e il vie piú sempre salda
d’uno in altr’anno veder radicarsi
la tirannide fera; e l’esser padre;
tutto volger mi fea pensiero ad arti,
men grandi, ma piú certe. Io de’ tiranni
stato sarei debol nemico, e invano:
quindi men fea congiunto. Allor ti diedi
la lor sorella in sposa. Omai securi
di libertá piú non viveasi all’ombra;
quindi te volli, e i tuoi venturi figli,
sotto le audaci spazíose penne
delle tiranniche ali in salvo porre.
Raim. Schermo infame, e mal certo. A me non duole
Bianca, abbenché sia dei tiranni suora;
cara la tengo, e i figli ch’ella diemmi,
benché nipoti dei tiranni, ho cari.
Non dei fratelli la consorte incolpo;
te solo incolpo, o padre, di aver misto
al loro sangue il nostro. Io non ti volli
disobbedire in ciò: ma, vedi or frutto
di tal viltà: possanza e onor sperasti
cor da tal nodo; e infamia e oltraggi e scherno
ne abbiam noi colto. Il cittadin ci abborre,
e a dritto il fa; siamo al tiranno affini:
non ci odian piú, ci sprezzano i tiranni;
e il mertiam noi, che cittadin non fummo.
Gugl. Sprone ad eccelso oprar, non fren mi avresti,