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302 la congiura de’ pazzi
nol credo io, no...

Raim.   Perché nol credi? Oltraggi
non ci fero piú gravi? I tolti averi
piú non rammenti, e le mutate leggi,
sol per ferirne? Ingiuríati fummo
noi vie piú sempre, da che a lor congiunti
noi vilmente ci femmo.
Gugl.   Odimi, o figlio:
ed al bianco mio crine, ed alla lunga
esperíenza or credi. Il giusto fiele,
che serbo forse anch’io nel cor profondo,
non lo sparger tu invano: ancor ben puossi
soffrire: e mai non credo abbianti a torre
donato onor, qual sia. — Ma, se ogni meta
essi pur varcan, taci: all’opre è tolto
dalle minacce il loco. Alta vendetta,
d’alto silenzio è figlia. A te dan norma,
come odíar si debba, i blandi aspetti
de’ tiranni con noi. Per ora, o figlio,
io soltanto a soffrir ti esorto e insegno...
Non sdegnerò, se poi fia d’uopo un giorno,
da te imparar, come ferir si debba.


SCENA SECONDA

Raimondo.

... Non oso in lui fidarmi... A queste rive

torni Salviati pria. — De’ miei disegni
nulla il padre penétra: ei non sa, ch’oggi,
piú che placargli, inacerbir mi giova
questi oppressori. — Ahi padre! a me tu mastro
or del soffrir ti fai? Se’ tu quel desso,
di cui non ebbe il difensor piú ardente
la patria un dí? Quanto in servir fa dotto
la gelida vecchiezza! — Ah! se null’altro,