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atto primo 305
fra loro e te mi sforzi; a te son moglie,

per te son madre, oppresso sei; non posso,
né vacillar degg’io. Ma tu, per ora,
deh! non risolver nulla: a me la impresa
di farti almen, se lieto no, securo,
lasciala a me; ch’io ’l tenti almeno. Io forse
appien non so, come a tiranno debba
di un cittadino favellar la sposa?
Fors’io non so, fin dove alle non lievi
ragioni unir non bassi preghi io possa?
Son madre, e moglie, e suora; in chi ti affidi,
se in me non fidi?
Raim.   Oh cielo! il parlar tuo
mi accora, o donna. Anch’io pace vorrei;
ma, con infamia, no. Che dir potresti
per me ai fratelli? ch’io non merto oltraggi?
Ben essi il san; quindi mi oltraggian essi:
ch’io non soffro le ingiurie? a che far noto
ciò che dal sol mio labro saper denno?
Bianca Ah!... Se a loro tu parli,... oimè!...
Raim.   Che temi?
Cangiarmi, è vero, io l’alma omai non posso;
ma so tacer, se il voglio. In mente ho sempre
te, Bianca amata, e i figli miei: s’io nacqui
impetuoso, intollerante, audace,
non perciò mai motto né cenno a caso
io fo: ti acqueta; anch’io vo’ pace.
Bianca   Eppure
ti leggo in volto da fera tempesta
sbattuto il core... Ah! non vegg’io forieri
di pace in te.
Raim.   Lieto non son; ma crudi
disegni in me non sospettare.
Bianca   Io tremo;
né so perché...
Raim.   Perché tu m’ami.


 V. Alfieri, Tragedie - II. 20