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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Giuliano, Lorenzo.

Loren. Fratel, che giova? in me finor credesti:

a te par forse, che possanza in noi
scemi or per me? Tu di tener favelli
uomini a freno: e il son costor? se tali
fossero, di’; ciò che siam noi, saremmo?
Giul. Lorenzo, è ver, benigna stella splende
finor su noi. Fortuna al crescer nostro
ebbe gran parte; ma piú assai degli avi
gli alti consigli. Cosmo ebbe lo stato,
ma sotto aspetto di privato il tenne.
Non è pur tanto ancor perfetto il giogo,
che noi tenerlo in principesco aspetto
possiam securi. Ai piú, che son gli stolti,
di lor perduta libertá le vane
apparenze lasciamo. Il poter sommo
piú si rafferma, quanto men lo mostri.
Loren. Giunti all’apice ancor, Giulian, non siamo:
tempo è d’ardir, non di pesare. Acchiuse
giá Cosmo in se la patria tutta, e funne
gridato padre ad una. O nulla, o poco,
Pier nostro padre alla tessuta tela
aggiunse: avverso fato i pochi ed egri
suoi dí, che al padre ei sopravvisse, tosto