Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/314

Da Wikisource.
308 la congiura de’ pazzi
troncò: poco v’aggiunse, è ver; ma intanto

ei succedendo a Cosmo, e a Piero noi,
si ottenne assai nell’avvezzar gli sguardi
dei cittadini a ereditario dritto.
Dispersi poscia, affievoliti, o spenti
i nemici ogni dí; sforzati, e avvezzi
ad obbedir gli amici; or, che omai tutto
di Cosmo a compier la magnanim’opra
c’invita, inciampo or ne faria viltade?
Giul. Saggi a fin trarla, il dobbiam noi; ma in vista
moderati ed umani. Ove dolcezza
basti al bisogno, lentamente dolci;
e all’uopo ancor, ma parcamente, crudi.
Fratello, il credi; ad estirpar que’ semi
di libertá, che in cor d’ogni uomo ha posto
natura, oltre i molti anni, arte e maneggio
vuolsi adoprar, non poco: il sangue sparso
non gli estingue, li preme; e assai piú feri
rigermoglian talor dal sangue...
Loren.   E il sangue
di costoro vogl’io? La scure in Roma
Silla adoprò; ma quí, la verga è troppo:
a far tremarli, della voce io basto.
Giul. Cieca fiducia! Or non sai tu, ch’uom servo
temer si dee piú ch’altro? Inerme Silla
si fea, né spento era perciò; ma cinti
di satelliti e d’armi e di sospetto,
Cajo, e Nerone, e Domiziano, e tanti
altri assoluti imperator di schiavi,
da lor svenati caddero vilmente. —
Perché irritar chi giá obbedisce? Ottieni
altrimenti il tuo fine. È ver, del tutto
liberi mai non fur costor; ma servi
neppur di un solo. — Intorpidir dei pria
gli animi loro; il cor snervare affatto;
ogni dritto pensier svolger con arte;