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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/316

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310 la congiura de’ pazzi
forza non han? credere il vo’: ma il tergo

dal tradimento, or chi cel guarda? basta
a ciò il sospetto? a tor quíete ei basta,
non a dar sicurezza.
Loren.   Ardir cel guarda:
ardir, che ai forti è brando, e mente, e scudo.
Farei, tacendo, a nuove offese invito
al baldanzoso giovine rubello.
Ma ingiuríato, e, da chi ’l può, non spento,
fia ludibrio dei molti a chi il fai capo.


SCENA SECONDA

Lorenzo, Giuliano, Guglielmo, Raimondo.

Gugl. Seguimi, o figlio; e ch’io quí sol favelli

lascia, ten prego. — O voi, (che ancor ben noto
non m’è qual nome vi si deggia e onore)
me giá implacabil vostro aspro nemico,
or supplichevol voi mirate in atto.
Meglio, il so, meglio a mia cadente etade
liberi detti, e liberissime opre
si converriano, è ver; né le servili,
bench’io le adopri, piaccionmi. Ma solo
non son io del mio sangue; onde, è gran tempo,
alla fortuna vostra e a ria crudele
necessitá soggiacqui. In voi me poscia,
la mia vita, il mio aver, l’onore, e i figli,
tutto affidai; né ad obbedir restío,
piú ch’altri fui. Ciò che si sparge or dunque,
creder nol posso; che a oltraggiar Raimondo
e in lui me pur d’immeritato oltraggio,
voi vi apprestiate. Ma, se ciò fia vero,
chiederne lice a voi ragion pur anco?
Giul. Perché al tuo figlio pria ragion non chiedi
del suo parlar, dell’opre sue?...