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atto quarto 337
fia il primo primo: a disbramar lor sete

i men forti verran co’ ferri poscia,
tosto che a terra nel sangue stramazzino,
pregando vita, i codardi tiranni. —
Padre, udito il segnal, se in armi corri
dove fia Anselmo, gioverai non poco,
piú che nel tempio assai; da cui scagliarci
fuori vogliam, vibrato il colpo appena.
Duolmi, ch’io solo a un tempo trucidarli
ambi non posso. — Oh! che dicesti, o padre?
Man pronta e ferma? Il ferro pria verranne
manco doman, che a me la destra e il core.
Gugl. Teco a gara ferir, che non poss’io?
Vero è, pur troppo, che per molta etade
potria tremulo il braccio, il non tremante
mio cor smentire. — A dileguar mie’ dubbi
raggio del ciel mi sei: ben tu pensasti,
ben provvedesti a tutto; e invano io parlo.
Piacemi assai, che a voi soltanto abbiate
fidato i primi colpi. Oh quanta io porto
invidia a voi! — Sol dubitai, che in queste
vittime impure insanguinar tua destra
sacerdotal tu negheresti...
Salv.   Oh quanto
mal mi conosci! Ecco il mio stile; il vedi?
Sacro è non men, che la mia man che il tratta:
mel dié il gran Sisto, e il benedisse pria. —
La mano stessa il pastorale e il brando
strinse piú volte: e, ad annullar tiranni
o popoli empj, ai sacerdoti santi
il gran Dio degli eserciti la destra
terribil sempre, e non fallevol mai,
armava ei stesso. Appenderassi in voto
questa, ch’io stringo, arme omicida e santa
a questi altari un dí. Furor m’incende,
piú assai che umano: e, ancor ch’io nuovo al sangue


 V. Alfieri, Tragedie - II. 22