Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/348

Da Wikisource.
342 la congiura de’ pazzi
Piangi tu pure il lor destino;... e al padre

fa che non sien simíli, se a te giova,
piú che a virtude, a servitú serbarli.
Bianca Oh ciel!... quai detti!... I figli... oimè!... in periglio?...
Raim. Ove periglio sorga, a te gli affido.
S’uopo mai fosse, dei tiranni all’ira
pensa a sottrarli tu.
Bianca   Me lassa! Or veggio,
ora intendo, or son certa. O giorno infausto,
giunto pur sei; maturo è il gran disegno:
tu vuoi cangiar lo stato.
Raim.   ...E s’io il volessi,
ho in me forza da tanto? Il vorrei forse;
ma, sogni son d’infermo...
Bianca   Ah! mal tu fingi:
uso a mentir meco non è il tuo labro.
Grand’opra imprendi, il mio terror mel dice;
e quei, che al volto alternamente in folla
ti si affaccian tremendi e varj affetti;
disperato dolor, furor, pietade,
odio, vendetta, amore. Ah! per quei figli,
che tu mal grado tuo pur cotanto ami,
non per me, no; nulla son io; pel tuo
maggior fanciul, dolce crescente nostra
comune speme, io ti scongiuro; almeno
schiudimi in parte il tuo pensier; te scevro
fa ch’io sol veggia da mortal periglio
e in ciò mi acqueto: o, se in periglio vivi,
lasciami al fianco tuo. Deh! come deggio
salvar tuoi figli, s’io del tutto ignoro
qual danno a lor sovrasti! A’ piedi tuoi
prostrata io cado; e me non vedrai sorta,
finché non parli. Se di me diffidi,
svenami; se in me credi, ah! perché taci?
Son moglie a te; null’altro io son: deh! parla.
Raim. ... Donna,... deh! sorgi. Il tuo timor ti pinge