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358 don garzia
Fingi d’amarlo; ogni pietá ne hai tolta:

promovil; campo a largo errar gli dai:
premialo; ingrato e traditor fia tosto.
Cosí vendetta colorir si puote
di giusta pena; in un cosí s’ottiene
di prence il frutto, e d’uman sire il nome.
Cosimo Col tuo consiglio anco si regna, o Piero;
ma, piú regale io quel di Diego estimo.
Senza atterrire od ingannar, tenersi
soggetto l’uom, ben chi sel crede è stolto.
Poco bensí di un figlio, e men di un prence
ravviso i sensi in te, Garzía: tu parli
a Cosmo re del cittadino Cosmo?
Tu vuoi, ch’io in trono il reo destin rimembri? —
Ed io ’l vo’ far, col prevenir d’avversa
fortuna i colpi. — Or, qual linguaggio è il tuo?
Nomi il timor, prudenza? umano chiami,
l’esser debole e vile? e allor ch’io chieggio
come il mortal nemico mio si spenga,
com’io deggia salvarlo a me tu insegni?
Diego Garzía minore, e ad obbedirmi nato,
maraviglia non fia se al trono pari
l’animo in se non serra; e s’ei private
virtú professa, o finge...
Garzia   Una per sempre
fia la virtude; e in trono, e fuor, sola una.
Richiesto, io dissi il pensier mio: se un’alma
qual mostri, è d’uopo ad aver regno, io godo
di non attender regno: e, s’io pur nacqui,
come tu il dici, all’obbedire, io voglio
pur obbedir, ma a tal, che imperar sappia...
Cosimo E son quell’io, finora: e tu, rimembra,
ch’io so farmi obbedire: ama e rispetta,
quanto me, Diego. — In voi, gli animi vostri,
non consiglio, cercai. Vidi, conobbi,
udii: mi basta. — A voi, nei detti ed opre,
e nei pensieri, io solo omai son norma.