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atto terzo | 33 |
SCENA QUINTA
Rosmunda, Ildovaldo.
quí mi ti manda il ciel; vieni, Ildovaldo,
vendicator de’ torti miei: ministro
di tua letizia eterna a un tempo farti
spero, e di mie vendette. Ami, ed amato
sei da Romilda, il tutto so, né il danno;
anzi ne sento inesprimibil gioja.
Ma tu non sai, che il perfido Almachilde,
colui, per chi tanto sudor spargesti,
per cui perigli oggi affrontasti e morte;
quello stesso Almachilde, a me spergiuro,
ingrato a te, Romilda egli ama.
Ildov. Ahi vile!
Ei di mia man morrá.
Rosm. Né d’amor lieve
l’ama egli, no; ch’ogni dover piú sacro
per lei tradisce: a ogni empio eccesso è presto;
sen vanta; e il credo. È ver, che assai lo abborre
Romilda; è ver, che gli giurò poc’anzi
odio eterno; ed amor giurava a un tempo,
al mio cospetto, a te; per te (dicea)
poco il morir le pare... Ma, in udirla
si sgomenta Almachilde? Anzi, all’indegna
sua passíon fa d’ogni ostacol sprone. —
Chi ’l riterrá, se tu nol fai? Te spero
inciampo forte a sue malnate voglie:
per te lo dei; tel comando io. — Si taccia
d’ogni altro sposo di Romilda: è tua,
non di Alarico omai; tua la vogl’io.
Ceda all’odio novello in me l’antico;
teco sia lieta, prendila; e per sempre
dagli occhi miei la invola.
V. Alfieri, Tragedie - II. | 3 |