Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/394

Da Wikisource.
388 don garzia
ei tratta. Or dianzi, un passeggero sdegno

contro di lui ti accese; odiar non sai,
né rimembrar le ingiurie tu: ma, s’altri
giú nel profondo del cor le rinserra;
se fervid’atra ira nascosa bolle
sí, che a scoppiar lunge non sia...
Diego   Ma il padre
in alto oblio non ha l’empia contesa
sepolta?...
Piero   Il crede; ma Garzía nol crede.
Diego — Ma tu, mi par, che eccitator di risse
ne venghi a me. — Che mi può far costui?
Piero Sí, di discordia esca son io: securo
in tuo valor, senza alcun senno, statti;
s’io men t’amassi, anch’io ’l sarei. — Ben prenda
al tuo destin, che i suoi disegni in tempo
io penetrava. Or la salvezza tua
a svelarteli trammi, e in un la nostra:
che s’io volessi eccitar risse, al solo
padre ne andrei: ma ben v’andrò, se nieghi
di udirmi tu.
Diego   Che dunque fia? favella.
Piero Giá giá la notte tacita s’inoltra,
e tenebrosa molto. Entro la grotta
che del cupo viale in fondo giace
d’alti cipressi sepolta nell’ombre,
lá Salviati, invitato a reo consiglio
da Garzía, ne verrá; giá vi s’asconde
ei forse, e l’altro ivi a momenti attende.
Lá d’estrema vendetta i mezzi denno
fermar tra loro. Io tutto so dal messo
che l’invito recò. Preghi, minacce,
molt’arte, e doni, e vigil mente, or mi hanno
l’arcano orribil rivelato: in breve...
Ma, che vegg’io? stupor pure una volta
su l’intrepido tuo volto si pinge?...