Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/393

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atto quarto 387
imparare a temer. Pietá mi prende

del suo dileggio. — Ma, quel tanto a fretta
muoversi, or donde?...
Piero   Assai gran cose ei volge.
Or corre al padre, indi alla madre ei riede,
e in ciò si affretta, anzi che manchi il tempo
a’ suoi raggiri. Assente Diego, escluso
io dall’udir; vedi, propizio è il punto,
per farsi innante. Altro non so: ma dianzi
tradimento nomar l’amistá rea
di Garzía con Salviati udimmo; or lieve
imprudenza si noma: e quel sí spesso
teco garrir, che tracotanza ell’era,
con altra voce or giovenil bollore
si appella: e l’odio del poter d’un solo,
che apertamente egli professa, or l’odo
frivol pensier nomare. — In Cosmo l’ira
giusta rinascer ogni giorno io veggo:
ma in breve spegner suole arte donnesca
il senil fuoco. In fin, Garzía stamane
chiamar s’udía fellone; oggi (ed appena
tramonta il dí) scolpar del tutto ei s’ode,
difendere, innalzare; e fia, fors’anco,
che premiato ei si veggia.
Diego   E che rileva
a noi pur ciò? duolmi che in grazia al padre
torni il fratello? A ravvedersi, forse
ciò sol può trarlo.
Piero   E piú di te fors’io
invido son del ben altrui? ma, duolmi
l’inganno, e piú l’alta feral rovina,
che a nostra stirpe, al padre, e a te sovrasta.
Diego Al padre? a me? Che vuol Garzía? che puote?
Piero Regnar vuol egli; e il potrá pur, se taci.
Diego Regnar?... Ma, un brando io non ho forse?
Piero   Altr’armi