Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. II, 1946 – BEIC 1727862.djvu/89

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atto terzo 83
fia spersa tosto; ogni rumor fia queto;

tempo cosí di sguaínar tua spada,
e di segnar tue vittime t’acquisti.
Ner. A Roma, io sí, te mostrerò: ma pria
chiarir voglio, se in Roma il signor vero
son io. — Tu corri, Tigellino, al campo;
tacitamente i pretoriani aduna;
terribil quindi esci improvviso in armi
sovra gli audaci; e i passi tuoi sien morte
di quanto incontri.
Tigel.   Io l’ardirò; ma incerto
ne fia l’evento assai. Feroce l’atto
parrá, col ferro il rintuzzar la gioja.
E se in furor si volge? è breve il passo. —
Mal si resiste a una cittá; supponi
ch’io co’ miei forti cada; in tua difesa
chi resta allora?
Ner.   È ver... Ma, il ceder pure
parrebbe...
Tigel.   Or credi a me: periglio grave
non far di lieve: il sol tuo aspetto forse
può dissiparli appieno.
Ner.   ... Io di costei
rimango a guardia. In nome mio tu vanne,
mostrati lor: ben sai che sia la plebe;
seco indugiar fia il peggio. A piacer tuo,
fingi, accorda, prometti, inganna, uccidi:
oro, terror, ferro, parole adopra;
pur che sien vinti. Va, vola, ritorna.


SCENA QUARTA

Nerone, Ottavia, Seneca.

Ner. Seneca, e tu, guai se d’uscir ti attenti

della reggia:... ma statti da me lungi,