Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/106

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era ei perciò; che non avea deposta

sua dignitá, né stata eragli tolta:
non innocente, poiché asil sceglieva;
non reo, poiché niun l’accusava. In vostra
possanza il diero oggi di Sparta i Numi,
senza che víolato il santo asilo
fosse da alcun di noi. Lo accuso io quindi
ora, a voi tutti, di mutate, infrante,
tradite leggi; di tiranniche armi
in Leonida e gli efori adoprate;
di tiranniche mire, a cui fea base
la ribellante compra infima plebe:
e, per stringere in fin tutti i suoi tanti
delitti in un, di aver tradita e lesa
la maestá di Sparta, a voi lo accuso.
Agide — Solenne in vero, e dignitosa pompa
questa fia: ma, perché di affar tant’alto
Sparta non è quí testimonio intera?
Perché, qual suolsi ogni accusato, al foro
non son io tratto? — È ver, gli efori veggio,
e un re quí stassi, e del senato un’ombra:
ma pur per quanto l’occhio intorno io giri,
non vegg’io cittadini, altri che pochi,
potenti, e misti infra gli armati sgherri.
La maestá del popolo di Sparta
fia questa or forse? Io, non che Sparta tutta,
Grecia vorrei quí tutta a udire intenta
e le tue accuse, e le discolpe mie.
Or, poiché tanta è in voi de’ miei delitti
l’ampia certezza, or dite: a che pur tormi,
con sí gran parte d’ascoltanti, a un tempo
della vergogna mia cosí gran parte?
Leon. Per quanto il soffra il loco, assai gran folla
di cittadini or vedi, Agide, accolta.
Trarti dal limitar del carcer tuo,
tu il sai, che fora un cimentar pur troppo