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atto quarto 99
che agli occhi vostri, e ai miei, sua giovinezza

nol rende affatto or di pietade indegno. —
Efori, senatori, cittadini,
la vera vostra maestá non sorse
a dritto mai piú nobile di questo:
conoscer oggi, e perdonare i falli
dei vostri re: che sottopongo io pure
oggi a voi l’opre mie. Prova non lieve
del cor mio puro, e del regnar mio giusto,
parmi, fia questa; ed io di darla anelo.
A tremar delle leggi Agide insegni
a Leonida re. — Ma, giá si appressa
Agide al vostro tribunale: ed ecco
ch’io taccio, e seggo; io, cittadino, attendo
dai cittadin dell’alta lite il fine.
Ben sostener d’ogni mia forza io giuro,
qual ch’esser possa, la immutabil santa
libera vostra unanime sentenza.


SCENA TERZA

Anfare, Agide fra guardie, Leonida,

Popolo, Efori, Senatori.

Anfar. Spartani, efori, re, costui ch’io traggo

davanti al vero tribunal di Sparta,
Agide egli è d’Eudámida. Giá il regno
con Leonida ei tenne; il cacciò poscia
dal trono, a cui nuovo collega assunse
Cleómbroto. A voi piacque, indi a non molto,
ridomandar Leonida, che il seggio
ritoglieva a Cleómbroto. Nel sacro
asilo allor quest’Agide fuggiva:
perché fuggisse, ei vel dirá. Fin ch’egli
lá ricovrava, ei re non era; il trono
abbandonato avea: ma non privato