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atto primo 123
Scip. D’amor le fiamme io non provai, ma immensa

la sua possa rispetto, e temo anch’io.
Spesso il fuggii; che antiveder suoi strali
si den, cui tardo ogni rimedio è poscia.
Di Sofonisba diffidar dovevi,
pria di vederla, tu: di Asdrubal figlia
ell’era in somma, entro a Cartagin nata,
d’odio imbevuta in un col latte, e d’ira,
contro a Roma: e se a noi dall’util tuo
eri allacciato allor, ben chiaro il danno,
che tornar ten dovea nel darne il tergo,
tu preveder potevi.
Siface   E nulla conti
quella, che l’uom si spesso inganna e regge;
la speme? Io l’ebbi, che ad Asdrubal stretto
di tai legami, entro a Cartagin nullo
piú di me vi potria: veduta poscia
di Sofonisba la bellezza, io vinto,
io preso, io servo allor, piú che nol sono
or nel tuo campo, d’uno error nell’altro
cadendo andai. Per Sofonisba il regno
or perdo io, sí; la fama, e di me stesso
la stima io perdo: e, il crederesti? in vita
pur non mi duol di rimaner brev’ora,
fin ch’io lei sappia in securtá. Non temo
per lei l’infamia; è d’alto core anch’ella;
né viva mai dietro al tuo carro avvinta,
piú che Siface, irne potrebbe: or odi,
non i sensi di un re, di stolto amante
odi or le smanie. Una gelosa rabbia
m’arde e consuma, e la mia morte allunga.
Nella mia reggia, in Cirta, omai giá forse
dalle armi vostre vinta Sofonisba,
in preda ell’è del mio mortal nemico,
di Massinissa. A lui promessa pria
sposa, che a me; forse pur ei ne ardea...
A un tal pensiero, inesplicabil sento