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124 sofonisba
disperato furor, che in me s’indonna.

Morire io bramo, e morir deggio; e mille
vie del morire, ancor che inerme, io tengo:
ma, lasso me! morir non so, né posso,
fin ch’io non odo il suo destino. In preda
a Massinissa, deh! (se a te pur cale
il mio pregar) deh! non conceder mai,
ch’ella in preda a lui cada... Oh cielo!... Avvampo
d’ira... — Ma fuor del mio regal decoro,
dove mi tragge il furor mio? — Null’altro
mi resta a dirti. Alla mia tenda intanto
soffri ch’io mi ritragga: il duolo indegno
nasconder vo’. Fuorché Scipion, non debbe
null’uom vedermi entro il romano campo
in men che regio conturbato aspetto.


SCENA QUARTA

Scipione.

Misero re! Pari a pietá mi desta

maraviglia il suo dir. — Ma, forte duolmi
ciò, ch’ei mi accenna. A Massinissa in Cirta,
espugnata oramai, per certo occorsa
Sofonisba sará: s’ei pur ne’ lacci
d’amor cadesse? e se in sua fe per Roma
ei vacillasse?... O guerrier prode, e caro
a me, non men che necessario a Roma,
io per te tremo. — Oh quali cure acerbe
ti sovrastan, Scipione! Oh! quanto costa
a umano cor l’usar la forza ai vinti
nemici stessi! E s’io mai deggio un giorno
contro l’amico usarla?... Ah! questo, in vero,
è il sol dover di capitan, ch’io abborra.