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136 sofonisba
non bassa fiamma ardevi tu, giá pria

d’essermi sposa. Amor per prova intendo:
sua irresistibil forza, il furor suo,
tutto conosco: e, mal mio grado, io quindi
amai te sempre. A riamarmi astretta
tu dalle umane e sacre leggi, amarmi
non ti fu pur possibil mai. — Gelosa
rabbia mi squarcia a brani a brani il core:
vorrei vendetta; e, abbenché vinto e inerme,
dell’abborrito mio rival pur farla
quí ancor potrei... Ma, tu trionfi, o donna:
piú che geloso ancora, amante io vero,
col mio morir salva lasciarti or voglio. —
Perdonarti, fremendo; a orribil vita
esser rimasto, odiandola, e soltanto
per rivederti; ardentemente a un tempo
lieta con altri desiarti, e spenta;
or, come sola de’ miei mali infausta
fonte, esecrarti; or, come il ben ch’io avessi
unico al mondo, piangendo adorarti...
Ecco, fra quali agitatrici Erinni,
per te strascino gli ultimi momenti
del viver lungo e obbrobríoso mio.
Sofon. ... Ardirò pur, ma con tremante voce,
l’alma mia disvelarti. — A dir, non molto
mi avanza: in mio favor, troppo dicesti
tu, generoso: a morir sol mi avanza,
degnamente, qual moglie di Siface,
qual d’Asdrubale figlia. — Al suon, che sparse
del tuo morir la fama, è ver, ch’io ardiva
la mia destra promettere; ma data
non l’ho: tu vivi, e di Siface io sono.
Le tue vendette, e in un le mie, null’uomo
contra Roma eseguir meglio potea,
che Massinissa. Di tal speme io cieca,
e presa in un (nol niegherò) del suo