Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/177

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atto primo 171
null’uom piú avrá, né la possanza. — I Numi

lo inceneriscan quí, s’alto e verace
non è di Bruto il cuore. — Io giuro inoltre,
di far liberi, uguali, e cittadini,
quanti son or gli abitatori in Roma;
io cittadino, e nulla piú: le leggi
sole avran regno, e obbedirolle io primo.
Popolo Le leggi, sí; le sole leggi; ad una
voce noi tutti anco il giuriamo. E peggio
ne avvenga a noi, che a Collatin, se siamo
spergiuri mai.
Bruto   Veri romani accenti
questi son, questi. Al sol concorde e intero
vostro voler, tirannide e tiranni,
tutto cessò. Nulla, per ora, è d’uopo,
che chiuder lor della cittá le porte;
poiché fortuna a noi propizia esclusi
gli ebbe da Roma pria.
Popolo   Ma intanto, voi
consoli e padri ne sarete a un tempo.
Il senno voi, noi presteremvi il braccio,
il ferro, il core...
Bruto   Al vostro augusto e sacro
cospetto, noi d’ogni alta causa sempre
deliberar vogliamo: esser non puovvi
nulla di ascoso a un popol re. Ma, è giusto,
che d’ogni cosa a parte entrin pur anco
e il senato, e i patrizj. Al nuovo grido
non son quí accorsi tutti: assai (pur troppo!)
il ferreo scettro ha infuso in lor terrore:
or di bell’opre alla sublime gara
gli appellerete voi. Quí dunque, in breve,
plebe e patrizj aduneremci: e data
fia stabil base a libertá per noi.
Popolo Il primo dí che vivrem noi, fia questo.