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atto terzo | 239 |
SCENA SECONDA
Mirra, Cecri, Ciniro.
deh! vieni a noi; deh! vieni.
Mirra Oh ciel! che veggo?
Anco il padre!...
Ciniro T’inoltra, unica nostra
speranza e vita; inoltrati secura;
e non temere il mio paterno aspetto,
piú che non temi della madre. A udirti
siam presti entrambi. Or, del tuo fero stato
se disvelarne la cagion ti piace,
vita ci dai; ma, se il tacerla pure
piú ti giova o ti aggrada, anco tacerla,
figlia, tu puoi; che il tuo piacer fia il nostro.
Ad eternare il marital tuo nodo
manca omai sola un’ora; il tien ciascuno
per certa cosa: ma, se pur tu fossi
cangiata mai; se t’increscesse al core
la data fe; se la spontanea tua
libera scelta or ti spiacesse; ardisci,
non temer cosa al mondo, a noi la svela.
Non sei tenuta a nulla; e noi primieri
te ne sciogliam, noi stessi; e, di te degno,
generoso ti scioglie anco Peréo.
Né di leggiera vorrem noi tacciarti:
anzi, creder ci giova che maturi
pensier novelli a ciò ti astringan ora.
Da cagion vile esser non puoi tu mossa;
l’indole nobil tua, gli alti tuoi sensi,
e l’amor tuo per noi, ci è noto il tutto:
di te, del sangue tuo cosa non degna,
né pur pensarla puoi. Tu dunque appieno
adempi il voler tuo; purché felice