Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/262

Da Wikisource.
256 mirra
«dell’alta sposa, = che ogni laude eccede:

«e, invan rabbiosa,
«se stessa roda la feral Discordia...».
Mirra Che dite voi? giá nel mio cor, giá tutte
le Furie ho in me tremende. Eccole; intorno
col vipereo flagello e l’atre faci
stan le rabide Erinni; ecco quai merta
questo imenéo le faci...
Ciniro   Oh ciel! che ascolto?
Cecri Figlia, oimè! tu vaneggi...
Pereo   Oh infauste nozze!
Non fia, no mai...
Mirra   — Ma che? giá taccion gl’inni?...
Chi al sen mi stringe? Ove son io? Che dissi?
Son io giá sposa? Oimè!...
Pereo   Sposa non sei,
Mirra; né mai tu di Peréo, tel giuro,
sposa sarai. Le agitatrici Erinni,
minori no, ma dalle tue diverse,
mi squarcian pure il cuore. Al mondo intero
favola omai mi festi; ed a me stesso
piú insoffribil, che a te: non io per tanto
farti voglio infelice. Appien tradita,
mal tuo grado, ti sei: tutto traluce
l’invincibile tuo lungo ribrezzo,
che per me nutri. Oh noi felici entrambi,
che ti tradisti in tempo! Omai disciolta
sei dal richiesto ed abborrito giogo.
Salva, e libera, sei. Per sempre io tolgo
dagli occhi tuoi quest’odíoso aspetto...
Paga e lieta vo’ farti... Infra brev’ora,
qual resti scampo a chi te perde, udrai.