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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/292

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286 bruto secondo
ma, se con lingua mai liberi audaci

sensi, o nel foro, o nel senato, io porsi;
piú che il mai fossi, intrepid’oggi udrammi
Roma tuonar liberi accenti: Roma,
a cui, se estinta infra suoi ceppi or cade,
né sopravviver pur d’un giorno, io giuro.
Cassio Vero orator di libertá tu sempre
eri, e sublime il tuo parlar, fea forza
a Roma spesso: ma, chi omai rimane
degno di udirti? Od atterriti, o compri
son tutti omai; né intenderebber pure
sublimi tuoi sensi...
Cicer.   Il popol nostro,
benché non piú romano, è popol sempre:
e sia ogni uomo per se, quanto piú il puote,
corrotto e vile, i piú si cangian, tosto
che si adunano i molti: io direi quasi,
che in comun puossi a lor prestar nel foro
alma tutt’altra, appien diversa in tutto,
da quella c’ha fra i lari suoi ciascuno.
Il vero, il falso, ira, pietá, dolore,
ragion, giustizia, onor, gloria per anco;
affetti son, che in cor si ponno
destar d’uomini molti (quai ch’ei sieno)
dall’uom che in cor, come fra’ labri, gli abbia
tutti davvero. Ove pur vaglian detti
forti, liberi, ardenti, io non indarno
oggi salir spero in ringhiera; e voglio
ivi morir, s’è d’uopo. — Al poter rio
di quel Cesare stesso, onde or si trema,
quale origine base ei stesso dava?
La opiníon dei piú. Col brando ei doma,
le Gallie, è ver; ma con la lingua ei doma,
coi lusinghieri artificiosi accenti,
le sue legion da prima, e in parte poscia
il popol anco: ei sol, né spegner tutti,