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314 bruto secondo
Anton. — Di parlare a te solo m’imponeva

il dittatore. Ei, vero padre, e cieco
quanto infelice, lusingarsi ancora
pur vuol, che arrender ti potresti al grido
possente e sacro di natura.
Bruto   E in quale
guisa arrendermi debbo? a che piegarmi?...
Anton. A rispettare e amar chi a te diè vita:
ovver, se amar tuo ferreo cuor non puote,
a non tradire il tuo dover piú sacro;
a non mostrarti immemore ed indegno
dei ricevuti benefizj; in somma,
a mertar quei, ch’egli a te nuovi appresta. —
Troppo esser temi uman, se a ciò ti pieghi?
Bruto Queste, ch’or vuote ad arte a me tu dai,
parole son; stringi, e rispondi. È presto
Cesare, al dí novello, in pien senato,
a rinunziar la dittatura? è presto
senza esercito a starsi? a scior dal rio
comun terror tutti i Romani? a sciorne
e gli amici, e i nemici, e in un se stesso?
a render vita alle da lui sprezzate
battute e spente leggi sacrosante?
a sottoporsi ad esse sole ei primo? —
Questi son, questi, i benefizj espressi,
cui far può a Bruto il genitor suo vero.
Anton. Sta bene. — Altro hai che dirmi?
Bruto   Altro non dico
a chi udirmi non merta. — Al signor tuo
riedi tu dunque, e digli; che ancor spero,
anzi, ch’io credo, e certo son, che al nuovo
sole in senato utili cose ed alte,
per la salvezza e libertá di Roma,
ei proporrá: digli, che Bruto allora,
di Roma tutta in faccia, a’ piedi suoi
cadrá primier, qual cittadino e figlio;