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328 parere dell’autore su le presenti tragedie

del correggere, limare, e stamparle; il mio parere, dico, potrá forse contenere tali osservazioni, che a molti lettori, o spettatori, sfuggite sarebbero. Cosí pure la dotta censura altrui fará poi vedere ai lettori, e a me stesso, che molti altri difetti mi erano sfuggiti, benché io pur li cercassi. In questo modo, fra me e gli altri, si verrá, spero, a scoprire ogni piú menomo difetto delle presenti tragedie; e ciò, non mai per malignitá, ma pel vantaggio dell’arte, e affinché se ne prevalga al far meglio chi verrá dopo.

Non intendo neppure di accattare da esse il pretesto di scrivere una poetica, per ridire con minori lumi ciò che giá è stato sotto tanti aspetti detto da tanti. Onde, né di regole, né di unità, né di maneggi di passioni, né d’altri precetti parlerò, se non se di passo, e in quanto, particolareggiando su alcuno squarcio del mio, lo richiederá assolutamente il luogo. Dotto non sono, né voglio parerlo: onde, nessun ragionamento farò sul teatro degli antichi; nessun raffronto di passi, nessuna citazione, né, tampoco, leggi o sentenze su l’arte, inserirò in questo scritto. Egli non dee contenere altro che il semplice effetto e impressione che ho ricevuto da questi poemi, quando io, non me li ricordando quasi piú, gli ho successivamente letti ed esaminati, come se fossero stati d’un altro.

Quanto alle bellezze (se pur ve ne sono) non le rileverò mai individuandole; perché in ciò potrei essere ancor vie meno creduto: benchè mi sentirei pure se non l’abilitá il coraggio almeno di essere veritiero e giusto anche in questo. Ma siccome dei tratti che a me pajono belli (di chiunque siano) non ne posso parlare senza trasporto; che il lodar freddamente col labro è una prova certa di poco sentire nel cuore; ed ogni calda espressione su le proprie cose essendo suscettibile di farsi ridicola; non loderò io perciò nessuna cosa individuatamente mai. Se mi occorrerá tuttavia, nel parlar dei caratteri e condotta, di dover dire talvolta ch’io credo che stian bene cosí, brevissimamente il dirò: il di piú che non mi spiacerá, loderò col non biasimarlo. Talvolta forse mi avverrá anche di lodare senza accorgermene, e senza volerlo; e allora l’uomo si escusi. Talvolta, in fine, sarò pur costretto, parlando d’una cosa che crederò starvi bene, a dire ch’ella bene vi sta; ma, se chi mi legge vorrá prestarmi fede nel biasimo, perché me la negherá nel non-biasimo? E qual è quella opera umana, che per quanto abbia ella difetti, alcuna bellezza non abbia?