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Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/343

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virginia 337

pompa e decenza in uno spazioso teatro. Il corpo d’Antigone estinta, ch’io temea potesse far ridere, o guastare l’effetto, pure (ancorché in picciolissimo teatro, e privo di quelle illusioni cui lo spazio e l’esattezza mirabilmente secondano) non cagionava nessun moto che pregiudicasse in nulla all’effetto prefisso: parmi dunque, che molto meno lo cagionerebbe in un perfetto teatro.

Crederei, che nell’Antigone l’autore abbia fatto qualche passo nell’arte del progredire l’azione, e del distribuire la materia: e in ciò forse la scarsezza stessa del soggetto gli ha fatto assottigliare l’ingegno. Tuttavia il quart’atto riesce debole assai; e con alcuni pochi versi piú, bene inseriti nel terzo, si potrebbe da esso saltare al quinto, senza osservabile mancamento. Questo è difetto grande; e si dee attribuire per metá al soggetto, per metá all’autore.

Mi sono assai piú del dovere allungato su questa tragedia, perchè avendola io recitata, ne ho osservati molti e diversi effetti, che dell’altre non potrei individuare cosí per l’appunto; benché io fra me stesso gl’imagini. Con tutto ciò, l’aver io visto non mal riuscire questa tragedia, il che mi determinava allora a stamparla con molte dell’altre, non mi ha però fatto mutar di parere circa essa: e ancorché ella si avvolga sovra passioni piú teatrali per noi, io la reputo pur sempre tragedia meno piena, e di assai minore effetto teatrale, che le due precedenti.

Piú nobile, piú utile, piú grandioso, piú terribile e lagrimevol fatto, né piú adattabile a tragedia in ogni etá, in ogni contrada, in ogni opinione, non lo saprei trovar di Virginia. Un padre veramente costretto a svenare la propria figlia, per salvarle da una tirannica prepotenza la libertá e l’onestá, riesce cosa tragica in sublime grado, fra gli uomini tutti che vivono in societá, sotto leggi e costumi quali ch’ei siano. Tutte le passioni in questo avvenimento son vere, naturali, e terribili; nulla si accatta dalla religione, nulla dall’indole del governo, né dalla favola, né dal destino: havvi di piú, che questo memorabile accidente s’innesta su nomi romani, e viene ad essere la seconda cagione della vera vita, libertá, e grandezza del piú sublime popolo che si sia mai mostrato

V. Alfieri, Tragedie — III. 22