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338 parere dell’autore

nel mondo. Che si può egli desiderare di piú? nulla certamente, quanto al soggetto: ma molto piú forse ch’io non vi saprò vedere e rilevare, quanto alla maniera di trattarlo.

Tutto questo ho voluto premettere al mio esame, per dire e provare; che, stante le addotte ragioni, io credo Virginia un soggetto suscettibile di dare tragedia perfetta quasi; e che se questa non è riuscita tale, tutto quello che per arrivare al quasi le manca, viene ad essere colpa mera dell’autore, e non mai del soggetto; il quale, tolti certi piccioli nei che ha in se, e che avvertirò brevemente, tutto spira grandezza sempre, e veritá, e terrore, e compassione caldissima.

Appio è vizioso, ma romano; e decemviro, da prima legalmente eletto dal popolo; egli è l’anima d’una nuova lodabile e approvata legislazione; egli è in somma di una tal tempra, che non è, né può parere mai vile. Allorché l’odio che eccitano i delitti, non partecipa in niente dello sprezzo, il personaggio che n’è reo, si vede comparire in palco senza ribrezzo, e con curiositá mista di maraviglia e di terrore.

Icilio mi pare e romano, ed amante; ciò vuol dire, non meno bollente di libertá che d’amore; e queste due passioni che nei nostri tempi non si vedono mai congiunte, stanno pure benissimo insieme: perché non si può certo amare moltissimo, né la sposa, né i figli, senza amare ancor piú quelle sacre tutelari leggi, che ve li fanno tranquillamente in securtá possedere. Se dunque Icilio in questa tragedia riesce qual era, e quale dev’essere, non se ne dia lode nessuna all’autore. Bastava leggere e invasarsi di Tito Livio, Icilio si cava di lá bell’e fatto.

Virginia, mi pare amante e romana.

Virginio, mi pare padre e romano.

Numitoria, madre e romana. E di nessuno di questi mi occorre dir nulla, se non che quanto hanno essi di buono, tutto è del soggetto, e di Livio; quanto lor manca, è mio.

Il popolo, che quí è introdotto a parlare, mi pare non abbastanza romano, e mostrato troppo in iscorcio. Ne assegnerò brevemente la ragione. Quando questa tragedia verrá rappresentata ad un popolo libero, si giudicherá che in essa il popolo romano non dice e non opera abbastanza; e si dirá allora, che l’autore non era nato libero. Ma, rappresentata ad un popolo servo, si dirá per l’appunto l’opposto. Ho voluto conciliare questi due cosí diversi uditorj; cosa che raramente riesce senza difetto, e per cui