Pagina:Alfieri, Vittorio – Tragedie, Vol. III, 1947 – BEIC 1728689.djvu/385

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invenzione 379


Circa al metodo e condotta, chiunque vorrá pigliarsi la briga di raffrontare una qualunque di queste ad un’altra tragedia di simil nome, potrá per se stesso esaminarne la totale diversitá, e convincersi. Quanto nell’altre gli autori loro (e massimamente i moderni) hanno per lo piú studiato di farvi nascere incidenti episodici, scontri teatrali e spettacolosi, agnizioni non naturali o non necessarie, maravigliose e non sempre verisimili catastrofi; altrettanto in queste l’autore si è studiato a spogliare il suo tema d’ogni qualunque incidente che non vi cadesse naturale, necessario, e per cosí dire, assoluto signore del luogo ch’egli vi occupa. Per questa parte dunque direi che l’autore abbia piuttosto disinventato, negandosi assolutamente tutte le altrui, e tutte le proprie invenzioni, lá dove nocevano a parer suo alla semplicitá del soggetto, da cui si è fatto una legge sacrosanta di non si staccare mai un momento, dal cominciar della prima parola del primo verso, fino alla estrema dell’ultimo. Da questa rigida maniera ne è ridondato forse un altro difetto; il che suole e dee accadere allorché si cerca di pigliare un uso interamente contrario all’uso giá ammesso. Il difetto si è, che siccome in tutte l’altre tragedie si può benissimo non ascoltarne, e perderne quá e lá quasi delle intere scene, che per non essere importanti, necessariamente riescono anche languide e fredde; in queste non se ne potrá quasi perder verso, senza che l’intelligenza e la chiarezza ne vengano ad esser lese moltissimo. E siccome da una tale intensitá d’attenzione può forse riuscirne piú assai fatica che diletto alla mente di chi ascolta, piú spettatori preferiranno una condotta che dia loro respiro e che non voglia tanta attenzione, ad una che sempre gl’incalza, e che non dá mai riposo. Ma se si pensa, che il riposo nelle cose appassionate vuol dir sospensione, e quindi notabile minoramento di passione, il che equivale a freddezza; e se si pensa, che quando l’uomo ha cominciato ad essere commosso, egli vuole per natura sua non essere piú interrotto, ed anzi, vuol che la commozione sua crescendo sempre all’ultimo termine della favola rapidamente lo conduca; ammesse queste cose, io credo che un pubblico che si educherebbe a un teatro dove in grado perfetto questa incalzante continuitá dominasse, non si potrebbe poi piegare mai piú a sentir rappresentazioni che non avessero questo carattere d’incessante caldissima rapiditá. Onde, questo andamento che io, o avrò invano tentato d’imprimere alle presenti tragedie, o che in esse avrò soltanto accennato, altri dopo me con maggior felicitá e perfezione