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390 parere dell’autore

ma intendo bensí di mostrare, che il mio stile tragico in quella prima edizione mi era venuto fatto non solamente diverso dal lirico, da cui espressamente avea voluto discostarmi, ma ad un tempo stesso da quello stile tragico ch’io m’era ideato, e che non avea saputo poi eseguire.

In ogni arte, ma principalmente nella difficilissima del far versi, è certo pur troppo, che non si può quasi mai far bene, se non dopo aver fatto male in gran parte alla prima, e quindi successivamente sempre meno male, finché quel ben fare di cui è capace l’artista si trovi tutto sviluppato dalla maestra esperienza. E ciò principalmente accaderá a quell’artista, che tentando un genere di cui non ha perfetti modelli, dovrá ad un tempo i migliori mezzi per quel dato genere idearsi, e da se stesso eseguirseli.

Non so, se in questa seconda e intera edizione delle mie tragedie io ne abbia veramente condotto lo stile a quel grado or dianzi accennato, al quale forse non mi sará dato mai di condurle; ma non credo di averle lasciate molto addietro da quella debole perfezione di cui posso esser io capace. Il mio primo stile è stato assai biasimato in Italia; avrei desiderato per la propria mia istruzione, e pel vantaggio dell’arte, che ne’ miei critici l’amor del bello ed i lumi si fossero agguagliati alla malignitá. Perciò io sono stato ben tre e quattro anni, e ancora sto tuttavia aspettando una qualche luminosa, sugosa, vera, ragionata, e brevissima scolpita critica, la quale mi esponga rapidamente i difetti di quel mio primo stile, me ne assegni le cagioni, e me ne additi i rimedj: e questa vorrei che un dotto censore avesse intrapreso di farla, pigliandone ad esaminare una sola scena qualunque; di cui da prima a verso a verso, a parola a parola, ne facesse l’analisi, rilevando i difetti di parole, di frasi, di collocazione, e di suono: quindi vorrei che sviluppasse le ragioni, che a parer suo mi aveano indotto in simili errori; e che finalmente poscia il censore stesso rifacesse egli quei versi, a fine d’insegnare al pubblico, ed a me, quali avrebbero dovuti essere per riuscire chiari, armonici, e tragici. Ancorché io abbia lungamente aspettato, ed anche inutilmente chiesto, da alcuni dei piú eccellenti versificatori d’Italia questo prezioso modello, che mi servisse poi come di regolo per ridurre a similitudine sua il totale delle presenti tragedie; mi è, pur troppo, convenuto poi fare da me questa sgradita fatica, d’indagare io stesso la cagione costante del difettoso mio stile, ed emendarmelo come il sapeva. Io spero dunque, che la presente edizione, seconda