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90 agide
udrammi allor di meritata morte

accusar reo me stesso; e dir, che mie
eran le ingiurie e víolenze usate
da Agesiláo; dirò, ch’io in lui creava
un precursor di tirannia; che un saggio
voll’io per lui della viltá Spartana.
Ciò basterá, cred’io. Morte, che darmi
or tu non puoi, che a tradimento, (il vedi)
l’avrò cosí dai cittadini miei,
e parrá lor giustissima. La fama,
che in me ti offende, e che a me tor non puoi,
io me la tolgo, e a te la dono. Io moro,
tu regni; ambo contenti: a te non toglie
fama il regnare; a me l’infamia in tomba
portar pur lascia l’unica mia speme,
che a nuova vita abbia a risorger Sparta.
Leon. — Vil m’estimi cosí?
Agide   Grande t’estimo;
poich’atto a compier la mia grande impresa
te credo...
Leon.   A’ tuoi disegni empj, dannosi,
io por mano?...
Agide   Me spento, appien tu scarco
d’invidia resti: e gli alti miei disegni,
con tuo vantaggio, e in un, con quel di Sparta,
puoi compier tu. Di mia grandezza ardisci
grande apparir tu stesso: invido fosti;
or, col mio sangue la viltá tua prisca
tu ammanti appieno. A non sperata altezza
l’animo estolli, e al trono tuo ti agguaglia.
Leon. Maggior di te, dei cittadini il grido
giá abbastanza mi fea; ma il perdonarti,
se a me il concede Sparta, assai darammi
piena palma di te. Ch’io a Sparta intanto
ti appresenti, m’è d’uopo. — Altro hai che dirmi?
Agide A dirti ho sol, ch’esser non sai tu iniquo,