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di vittorio alfieri 171


Ridendo aspetta, anzi desía, del lasso
8 Corpo il dormire, il cui dormir lei terge.1
Dolce lusinga, in un sublime e insana,
Che il cor ci nutri e in ampj sogni acqueti,
11 Sei tu verace un Ente, o un’aura vana?2
Certezza averne, or ci faria men lieti.
Me dunque inganna, o del mio oprar Sovrana,
14 Tu che il morir secondo3 altera vieti.


CLXX.4

Ad una improvvisatrice.

Ed io pure, ancorché dei fervidi anni
Semi-spenta languisca in me la foga;
Io pur la lira, onde alto cor si sfoga,
4 Chieggo, e fremendo sciolgo all’aura i vanni.5


  1. 8. Il cui dormir lei terge: la morte del corpo purifica l’anima.
  2. 11. Meglio l’illusione, che la certezza di non sopravvivere alla morte del nostro corpo.
  3. 14. Il morir secondo è, per quanto adoperata in altro senso, espressione dantesca (Inf., I, 116 e seg.):
    Vedrai gli antichi spiriti dolenti
    Che la seconda morte ciascun grida.
  4. La persona, a cui è indirizzato questo sonetto, composto il 30 dicembre 1794, è, come risulta dall’autografo, Teresa Bandettini-Landucci, nata a Lucca l’11 agosto 1763. Fu poetessa e ballerina e, in questa doppia qualità, viaggiò per molte città d’Italia, Udine, Ferrara, Venezia, Padova, Verona, Mantova, Pavia, Milano, Roma, dove entrò nel numero delle pastorelle di Arcadia, col nome di Amarillide Etrusca. Carica di allori, volle gustare il piacere di trionfare nella sua città nativa, e qui l’Accademia degli Oscuri tenne una solenne adunanza appositamente per lei, mentre tutta la città le tributava trionfali onoranze e un anonimo poeta scriveva:
    Tu reçus d’Apollon cette divine Lyre
    Dont le doux accord font le charme de nos jours:
    Couvrons la de lauriers... je vois deja sourire
    Muses, graces, amours.
    E, dopo Lucca, Firenze: ma ivi ebbe a soffrire i morsi dell’invidia di Fortunata Sulgher-Fantastici, altra improvvisatrice, e il successo non fu cosí pieno com’ella desiderava e si aspettava. Gli ultimi anni della Bandettini passarono tristi e miseri, ed ella morí a Firenze il 5 aprile 1837. Le seguenti parole, che si leggono in una lettera anonima, forse del dicembre 1794, al Prof. Giovanni Rosini, possono dare un’idea dell’entusiasmo, dirò di piú, del delirio che suscitava questa improvvisatrice, oggi pressoché sconosciuta: «Io sono uscito in questo momento pazzo, fanatico, sorpreso al segno del delirio, dal famoso improvviso. Che piena di bellezze, che cose grandi, inarrivabili, divine che ho sentito ieri sera! mai piú non mi troverò a tanto!» E via di questo passo. Non grande stima credo che avesse del genio della Bandettini l’A., e ritengo il surriferito sonetto piú dettato dal desiderio di essere e di parere cortese, che da un sincero senso di ammirazione verso la poetessa, che egli aveva ascoltata piú volte, l’ultima delle quali in una seduta dell’Accademia Fiorentina, nel dicembre del 1794. (Vegg. l’articolo di Giov. Vannuccini, Una poetessa improvvisatrice della seconda metà del sec. XVIII, in Rass. Naz. del 1-16 agosto 1899).
  5. 4. I vanni, le ale della poesia.