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di vittorio alfieri 21


Ma il saputello cinguettío, che introna1
L’orecchio a noi, volgete ad altra gente;
14O ch’io rivolgo in voi pungenti carmi.


XXIII [xli].2

È geloso, e perché.

Se al fuoco immenso ond’io tutt’ardo, il gelo
Vedi or frammisto di gelosa tema,
Donna, che ’l fa? solo il sentir la estrema
4Possa che in duo negri occhi accolto ha il cielo;3
E il veder vano di modestia il velo
Contra l’ardente forza lor suprema.
Dunque, non è, ch’entro il tuo core io tema
8Che Amor penétri con novello telo.4
Ah! se in me pur sorgesse il rio sospetto,
Basterebbe un tuo candido sorriso5
11A far che mai non mi tornasse in petto:
Ben mi dolgo del troppo amabil viso,
Che in forti lacci ognun che il mira ha stretto.
14Martír sí dolce,6 io nol vorría diviso.


XXIV [xl].7

Altri tempi, altri uomini.

Qui Michel-Angiol nacque? e qui il sublime8


  1. 12. Il verbo intronare mi par troppo forte per un semplice cinguettio.
  2. Questo sonetto fu composto il 19 giugno 1779.
  3. 1-4. Non sono geloso perché io tema che tu mi sia infedele, ma perché veggo qual terribile forza tu eserciti sopra tutti; verissimo: a Roma l’Albany era chiamata la regina dei cuori.
  4. 8. Telo, dardo.
  5. 10. Un sorriso, indice del tuo candore.
  6. 14. Martir sí dolce, antitesi forse ispirata da quella di Dante (Purg. XXIII, 85 segg.):
    Sí tosto m’ha condotto
    A ber lo dolce assenzio de’ martíri
    La Nella mia col suo pianger dirotto.
  7. Nel ms. questo sonetto ha la data del 27 gennaio 1779.
  8. 1. Osserva giustamente Em. De Benedetti (Saggio di commento alle rime alfieriane, Senigallia, 1912, 35): «L’aver trovato in Firenze, dopo il suo volontario esilio dal Piemonte, un soggiorno piú indipendente e piú consono al suo temperamento di scrittore, non impediva all’A. di riconoscere come la Toscana, sotto il governo mite, ma sonnolento di Pietro Leopoldo fosse scaduta dall’altezza del suo glorioso passato. La Toscana mezzo addormentata del tempo suo non era davvero quella che con Dante, con Michelangiolo, col Ma-