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rime varie 105


CLIV.

Non che per mesi ed anni, anche per ore
Il doverla lasciar doleami forte,
Quando era usanza in me, di me più forte,
Di pascer sempre di sua vista il core.

Io non sapea che fosse allor timore;
Che al suo fianco atterrirmi, nè il può morte:
E nel giocondo oblio di lieta sorte,
Finto nome appellava ogni dolore.

Ma, dal punto fatal che svelto m’ebbe
Da sì dolce, serena, unica vita,
Ogni mio breve bene anco m’increbbe.

Speranza invan del mio martír mi addita
Il fin, che lunge forse esser non debbe:
Timor mi afferra; e chi da lui mi aíta?

CLV.

Di quanti ha pregi la mia donna eccelsi,
Cui più il conoscer, che il narrar, mi è dato;
Quello, per cui me da me stesso io svelsi,
È il cor d’alta bontà sì ben dotato.

Questa in mille virtù da prima io scelsi,
E più assai che beltade hammi allacciato:
Questa, dopo anni ed anni, ancor riscelsi,
Per vera base al mio viver beato.

Non, che i suoi brevi sdegni ella non senta:
Nè, che pur tarda od impassibil sia:
Ma vie men sempre al perdonare è lenta.

Nel suo petto non entra invidia ria;
I benefizj al doppio ognor rammenta;
Le offese in un coll’offensore oblia.