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108 vittorio alfieri


CLX (1785).

Mesto son sempre; ed il pianto, e la noja,
Dell’inutil mio viver son le scorte:
Ma il dolor, che alla speme ancor le porte
Schiude, non vuol ch’io viva, e non ch’io muoja.

Quindi adirato, e torbido, ogni gioja
Sfuggo più assai, ch’altri non sfugge morte;
E son mie poche doti intere assorte
Nell’ozio, che i più belli anni m’ingoja.

Fin ch’io mi stava di mia donna al fianco,
Mi porgean l’alme suore alto diletto,
Nè mai di apprender sazio era, nè stanco.

Privo di lei, son privo d’intelletto;
Ogni senno e virtude in me vien manco,
«Pien di malinconia la lingua e il petto».

CLXI.

Chi ’l disse mai, che nell’assenza ria
Dal caldamente amato unico oggetto,
(Cosa, cui spesso è l’amatore astretto)
Alle Muse il servir sollievo sia?

Certo, chi un tanto error pronunziò pria
O poco amor gli riscaldava il petto,
O dalle dotte suore iva negletto;
O a questa e a quel del pari ei mal servia.

Ogni raggio d’Apollo è d’Amor raggio:
Scontento il cor, la fantasia si agghiaccia;
Nè l’uom di sè può dar nullo alto saggio.

Ma il duol, che tutto, fuorchè il pianto, allaccia,
Pur anco è ver, può rïuscir vantaggio,
Se avvien che nascer carmi il pianto faccia.