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112 vittorio alfieri


CLXVIII (1786).

Su questa strada io giva, in questo legno,
Co’ medesmi destrieri in simil ora,
(Ma col cor di ben altro affetto pregno)
A diporto con lei, cui chiamo ognora.

Già, d’una in altra rimembranza, io vegno
Sì pienamente or di me stesso fuora,
Che fin, ch’io lei presente a me disegno
Coll’acceso pensier, duol non mi accora:

Nè sol la veggo; anco le parlo, ed odo
Di sua angelica voce le risposte,
Ch’io replicar fra me tacito godo.

Ma l’orme ho appena entro all’ostel riposte,
Ch’io ricomincio in lagrimevol modo
A cercar de’ suoi piè le amate poste.

CLXIX (1786).

Sempre ho presente quell’atto soave,
Con che tu volgi turbatetta il ciglio
A me, quand’io non ricco di consiglio
Erro; che spesso avviemmi, e ognor m’è grave.

Maggiore amor, maggior pietà non have
Tenera madre pel suo dolce figlio:
Quindi, s’io poi non sempre al ben mi appiglio,
Pianto non è che mia vergogna lave.

Donna mia, poco son; ma nulla io fora,
Se fra il cieco bollor de’ pensier miei,
Te non avessi per mia scorta ognora.

Anco lontana, al fianco mio tu sei:
Spiacerti io temo: e al ben oprar m’incuora
L’amor tuo, di cui privo, io non vivrei.