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rime varie 117


CLXXVIII (1786).

Podagra acerba, che sì ben mi mordi
I piè, che in letto conficcato mi hai;
Se di Venere e Bacco infra i bagordi
Tu nasci, or con che dritto in me ti stai?

Poco tua madre, e il genitor non mai
Conobbi; onde, o tu pace appien mi accordi,
O il padre almen cangiar per me dovrai,
Perchè intera mia fama non si lordi.

L’ardente Apollo, il nobil Dio dei carmi,
Con sua fiamma vorace hammi consunto
Quel vigor, che potea da te sottrarmi.

Di lui sei figlia; ed egli, il so, t’ha ingiunto
Di non osar la mente strazïarmi:
Basta il mio frale al tuo crudele assunto.

CLXXIX (1786).

Gran pittrice è Natura. Oh amabil vaga
Armonía di color sì varj e vivi,
Che il cor, la vista, e lo intelletto appaga!
Qual fia pennel, che a tua bellezza arrivi?

Qui il pratello, che pare opra di maga,
Ride fra due fuggenti argentei rivi:
Più là, rosseggia l’odorosa fraga,
Fra i bei lauri non mai di fronda privi:

Più su, di querce si corona il monte;
E un bizzarro alternar di Sole e d’ombra,
Or fa negra, ora indora a lui la fronte.

Là, quanto trar può l’occhio, il piano ingombra
Verde speme di messi a ingiallir pronte....
Ma nulla il duol dall’alma mia disgombra.