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Pagina:Alfieri - Rime varie (1903).djvu/144

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138 vittorio alfieri


Qui (dich’io) lagrimava,
D’arbitrario insanir vittima trista,
La intatta sempre timida Innocenza,
Cui di sua man Calunnia conficcava.
Qui non s’udía di giudice sentenza:
Qui due miseri carmi
Veri o supposti; e qui un sorriso, un guardo,
Un pensier, potean trarmi....
Oh di qual giusto alto furor tutt’ardo!

XII.


A terra, a terra, o scellerata mole:
Infranta cadi, arsa, spianata, in polve. —
A gara ogni uom l’assale;
A gara ogni uom spiccarne un sasso vuole,
E le fere compagini dissolve.
Sparita è già. — Ma quale
Pompa diversa oggi rischiara il sole
Nelle affollate parigine vie?
Ecco inerme e soletto il Franco Giove:
Ei di sua reggia muove,
Ripieno il cor di cittadine pie
Brame, in lui figlie di assoluto invito
Che al venir gli vien fatto in fogge nuove.
Fiede il regale orecchio un non pria udito
Alto e libero Evviva,
Cui non più Re ma Nazïon vi aggiunge
Quella sovrana Diva
Che dai bruti il verace uomo disgiunge.

XIII.


Fra il nobil grido il re procede intanto,
Da Franche armi non compre attornïato,
Vêr la magione urbana.
Di duolo e gioia vario-misto un pianto
Cui da pria ’l pentimento ha in lui destato,
D’ogni uom lo sdegno appiana.
Ma d’ora in poi quello ingigliato ammanto
E a chi ’l porta e a chi ’l dona assai men greve
(Spero) sarà. — Giunto è già il prence: ei giura
Che la orribil congiura,
Ignota a lui, tutta imputar si deve
Ai traditor che in duro error lo han tratto.