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rime varie 155


CCXXXVII (1795).

Del mio decimo lustro, ecco, già s’erge
L’antipenultim’anno, e a caldo passo
Spinge la ruota mia più sempre al basso,
Dove il fral nostro in alto oblío s’immerge.

Ma la parte dell’uom, che viva emerge
Dal sepolcrale grave invido sasso,
Ridendo aspetta, anzi desía, del lasso
Corpo il dormire, il cui dormir lei terge.

Dolce lusinga, in un sublime e insana,
Che il cor ci nutri e in ampj sogni acqueti,
Sei tu verace un Ente, o un’aura vana?

Certezza averne, or ci faria men lieti.
Me dunque inganna, o del mio oprar Sovrana,
Tu che il morir secondo altera vieti.

CCXXXVIII (1795).

In cor mi avrei tarda e risibil voglia
(Poichè il carro degli anni al fuggir prono
Più mi atterga ogni giorno il lustro nono)
Di adorar pure Oméro in Greca spoglia.

L’Alfa, e l’Oméga, in Apollinea soglia
Di chi le ignora ampia vergogna sono;
A chi le intende, inesauribil dono;
A chi non giunge in tempo, inutil doglia.

L’un di questi preposteri or son io,
Mercè la crassa istituzion primiera,
Che mi educava a vergognoso oblío.

Dunque al Tosco bel dir mia mente intera
Volta, gli avanzi del valor natío
Non seppellisca in compitante schiera.