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l’etruria vendicata. — canto i 185


Dormi tu, dormi (grida in suon tremendo)
Tra le mura di Flora in vil riposo?
Mentr’io di trarti i fieri ceppi imprendo,
Lento giaci, o Lorenzo, e neghittoso?
Forse men grave a te si fa dormendo
Del tuo servaggio il peso vergognoso?
Non sai che all’odio la tardezza unita
Costor, ch’io premo, a incrudelir più invita?

A che ti val quel che giuravi eterno
Magnanim’odio del poter d’un solo,
Se di quell’un tu primo esser lo scherno
Soffri, e non osi uscir da infame stuolo?
A che la rabbia, a che il furor che interno
Ti rode il cuor, se in apparenza al suolo
Dal giogo oppressa la cervice inchini,
E, a ciò non nato, al sofferir ti ostini?

Quei che tumido e fero assiso vedi
Sull’usurpato etrusco seggio, è tale
Qual tu per lunga esperïenza il credi.
Minor di tutti, ei non ammette eguale,
E ogni uomo tien sotto gli audaci piedi:
Nè a raffrenar l’empia ferocia vale
Altra ragion che il ferro: e tu nol stringi?
E tu umiltade e obbedïenza fingi?

Mira quest’ombre che a me intorno stanno,
Cui più che vita piacque libertade:
Tutte o di greco o di latin tiranno
Troncaro i giorni con le ultrici spade.
Nè il perder sè dee riputarsi danno,
Quando il comun nemico estinto cade:
Chi serve, muor: ma chi dirà ch’ei mora
L’uom cui d’eterna fama il mondo onora?

Uopo non è ch’io narri ad una ad una
Le memorande loro alte vendette:
Chè il sol nomarli ogni gran laude aduna,
E tutte in lor stan le virtù ristrette;
Poich’emendando col valor fortuna,
Le invitte destre, ancor che in ceppi astrette,
Di ferro armaro, e il cor mostraron forte
Nel ricever non men che nel dar morte.