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190 | vittorio alfieri |
Alessandro (chè tale era nomato
Lo imperador del popolo Tirreno;
Che al Macedone invitto posto a lato,
Se in valor no, lo avanza in vizi almeno),
Alessandro è sì forte spaventato,
Che a gran pena può l’alito del seno
Trarre, e tre volte appuntarsi gli accade
Per sollalzarsi, e tre volte ei ricade.
Tale al Tebro Nerone empio giacea
(Chè il tiranno al tiranno s’assomiglia,
Ed a null’altro), allor che a sè vedea
Ne’ sogni orrendi con irate ciglia
Agrippina venir, venir Poppea,
E tutta la svenata sua famiglia:
Nè lo togliean di sè rimorso o pieta,
Ma terror che non ha ne’ vili meta.
Tramortito così gran pezza stette
Il Tosco re, fin che le fauci aperse
Cui soverchio temer gli avea ristrette.
Voci di pianto in ulular converse,
Quanto più forte può, tremando ei mette;
Che per le regie sale erran disperse,
Rimbombando in un suono lamentevole
Da atterrir, non che schiavi, ogni uom men fievole.
Primo ad udire il flebile concento
Arrigo fu, degno del prence amico,
Del suo mal regno lo peggior strumento,
Codardo anch’ei, d’ogni virtù nemico:
Udì, temè, sorse; e ben cento e cento
Guardie, che notte e dì per uso antico
Vegliano de’ tiranni all’alte porte,
In armi aduna, e lor parla da forte.
Prodi, che in guerra dare orribil urto
Anco potreste soli a un’oste intera,
V’ha chi nel regio limitar di furto
Entrò: corriamvi; e per man vostra ei pèra.
De’ satelliti il capo allora insurto,
Grida: Corriamvi; è ben dover ch’ei pèra.
Ratti muovono in folla: e lance e scudi
Fan suonar l’ampio tetto, e brandi ignudi.