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l’etruria vendicata. — canto iii 221


Tosto Arrigo si scosta: ei non paventa
Di lasciar sol col suo signore il frate.
Ben sa quant’util dalle sagramenta
Uscir ne suole a tempo amministrate:
E a vicenda il sant’uomo anch’ei rammenta
Che Arrigo in corte a lui le parti ha date:
Dall’armonia fra loro il ben ne nasce
Che il prence reggon come putto in fasce.

Compunto in viso e da gran duolo oppresso,
Plenario siede ad Alessandro accanto:
Poi come veritier celeste messo
Intuona: O figlio... e l’interrompe il pianto:
Ma pur ripiglia: O figlio, hai tu commesso
Qualche gran fallo che ti angosci tanto?
Narralo a me: ben sai che perdonato
Egli è, tosto che a noi vien rivelato.

Tanto spavento onde può nascer mai?
Tu reo non sei, che i sacerdoti santi
Temuto hai sempre, e venerati gli hai:
Di tutt’altri peccati, e sien pur quanti
Esser vônno, or già assolto appien ne vai:
Su via, mel di’, pria che vittoria canti
Il nemico infernal, che tanto gode
Di peccato taciuto per sua frode.

Mentre ei devoto e fervido parlava,
A poco a poco e gli smarriti sensi
E la voce Alessandro ripigliava.
Padre, non so se di colui ch’io spensi
Ultimo, che a mie mire contrastava,
Sia l’ombra quella che a me innanzi tiensi:
Ma certo è quello: odi? minaccia e grida.
E di vicina morte, ohimè! mi sfida.

Sì, certo, l’odo anch’io (Plenario dice);
Ma di Satana questo è un mero inganno:
E, se fidare in mie sant’armi lice,
Tosto farò che in lui ricada il danno.
Da capo ai piè, ciò detto, il benedice
Colle parole che sbagliar non sanno.
Indi, a calmar la fantasia turbata,
Saggia dottrina ei muove e ben fondata.