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52 vittorio alfieri


Tutto orecchie, ma pôrte
Soltanto alle parole scellerate
Da invidia fabbricate;
Adunchi, innumerabili, sanguigni,
Rapaci artigli, all’accarnar sì adatti,
A disbranar sì ratti:
Oh chi se’ tu, che a rio tremor costrigni
Anco i cor più ferrigni?
E soli eletti pochi,
Cui di sangue disseti e d’oro pasci,
Tremanti a tua feral mensa convochi,
E satollar del pianto altrui li lasci?

VI.


Tu se’ colui, ben ti ravviso, e indarno
Cogli occhi torti cenno
Minacciando mi fai che il nome io taccia:
Tu sei quel mostro rio, cui vita dienno
Pingue ignoranza e scarno
Timor, che il fuoco il più sublime agghiaccia
Con sua squallida faccia.
Dispotismo t’appelli; e sei custode
Tu solo omai di nostre infauste rive,
Dove in morte si vive;
Dove sol chi per te combatte, è prode:
Dove alla infamia è lode,
E i falsi onor sembianza
Veston di sacra alta virtude antica;
Dove sol presta la viltà baldanza;
Dov’è sol reo quell’uom che il vero dica.

VII.


Che canto io pace omai? Fia pace questa,
Mentre in armi rimane,
Nè sa perchè, l’una metà del gregge;
Tremante l’altra e dubbia anco del pane,
Stupida, immobil resta?
Fia libertà quella che or là protegge
Chi assoluto qui regge?
Fu guerra questa, ove il cercarsi ognora
L’osti fra lor nè il ritrovarsi mai,
Fu il più atroce de’ guai?
Ben féro: esser cagion perchè l’uom mora