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rime varie 81


CXIV (1783).

Deh, che non è tutto Toscana il mondo!
Che il tanto lezzo almen, che in lui si spande,
Saria temprato alquanto dal giocondo
Parlare, a un tempo armonïoso e grande.

In dolce stile, a nullo altro secondo,
Qui tal favella, cui nutriscon ghiande:
Oltre Appennino, anco il gentile è immondo,
Se voci a dir suoi sensi avvien ch’ei mande.

Non parlerò degli urli maladetti,
Con che Sarmati, Galli, Angli, e Tedeschi
Son di vestire il lor pensiero astretti.

Ben è gran danno, che ignoranza inveschi
Ora pur tanta i parlator sì pretti;
E nulla in lor, che il vuoto sono, adeschi.

CXV (1783).

Siena, dal colle ove torreggia e siede,
Vedea venir pel piano afflitta errante
Donna di grazïoso alto sembiante,
Che movea di ver Arno ignuda il piede.

Chi mai sarà? l’un Savio all’altro chiede:
Ma, sia qual vuolsi, or con veloci piante
A incontrarla ciascuno esca festante,
Per far di nostra gentilezza fede.

Era colei la Cortesía, che in bando
Uscia di Flora, e al Tebro irne credea,
Forse non meglio l’orme sue drizzando.

Ma dei Sanesi il bel parlar le fea
Forza così, che non più innanzi andando,
Tempio e culto, fra loro ebbe qual Dea.


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